Diario 10 settembre 2015

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Diario 10 settembre 2015

Ero piccolo, i maestri m’insegnavano come affrontare gli studi e la vita.

Ricordo ancora quei libri con i quadretti di cinque millimetri e a fianco una farfalla stilizzata che via via prendeva forma da un quadretto all’altro, i maestri mimando il disegno ci indicavano di riprodurlo il più uguale possibile. Calcando con mano pesante quasi tagliai il foglio, ma iniziavo fiero la mia prima opera della vita. Poi quelle aste disegnate sui fogli, sembravano tanti soldatini in fila che aspettavano il comandante per mettersi in marcia, i maestri con quelle ci insegnavano a contare. Che belle quelle recite in palestra con i grembiuli neri per i maschietti e bianchi per le femminucce con quei calzini bianchi che traforavano la pelle, tutti quanti puliti in ordine guardavamo la maestra che intonava le canzoni dandoci il la… Con noi in classe c’era un bimbo orfano, ospite dell’asilo delle suore, tutte le mattine lo portavano in classe, insieme ad altri bimbi, anche lui pulito e ordinato. Non c’era cattiveria in noi bimbi, solo tanta voglia di stare insieme; la nostra smania c’era per carità e pure troppa, ricordo l’espressione guardando quel vaso di pesci rossi che si ruppe sotto gli occhi della maestra quando io ci presi contro, le cure mentre raccoglievamo il pesciolino per metterlo poi in un bicchiere. Fortunatamente respirava ancora.

Quei giorni in cui a turno si andava dietro la lavagna in castigo, perché allora c’era e non era fissata al muro, non sapevamo ancora che sarebbe arrivata la lavagna interattiva; ora mi immagino i bimbi che a fianco della lavagna usano il mouse wifi.

Ma le lezioni di vita continuavano.

Il primo impatto con i professori, alle medie fu una sensazione strana. Li vedevo autoritari, burberi e cupi… eppure erano solamente i nostri professori che continuavano quel percorso per formare il nostro carattere. Erano sempre presenti qualunque cosa chiedessi o chiedessero gli altri miei compagni. Vedevo questo periodo molto duro, perché la preparazione alle superiori era importante. Iniziavano in quel periodo i primi sguardi alle compagne di classe, quei bigliettini passati ai compagni per farli arrivare a lei, si chiamava Paola ed era la figlia del prof di disegno, un bravo scultore e pittore conosciuto in zona. Lui non aveva piacere di questo conflitto d’interessi tra l’essere insegnante e padre, ricordo ancora quel cancellino che bonariamente, diceva lui mi tirava. (allora erano fatti di legno)

La vita continuava a insegnare

Passavano gli anni e quella vita ti teneva la mano, e poi rallentava e rimaneva indietro cercando di capire se riuscivi a camminare da solo. Quella vita puttana mi faceva sbandare, cadevo e mi rialzavo con le ginocchia sbucciate, fiero però di tornare a camminare da solo. Quella vita era lì e aspettava un gesto, un passo falso, sapeva sarebbe arrivato e lei sorniona se la rideva. Alcune compagnie sbandate perché quelle mettevano adrenalina, l’adolescenza era una palestra di vita e dietro l’angolo c’erano le insidie.

Le sventai tutte.

La vita mi tenne la mano anche li.

Nonostante la chiamassi puttana e io sbandassi da una situazione all’altra, lei era presente e non percepivo ancora se fosse affezionata a me o se le facessi così tanta tenerezza da tenermi bonariamente al suo fianco.

La verità è che non poteva tenerti per sempre attaccato alla sua gonna, quel cordone ombelicale si doveva tagliare e quei passaggi della vita: genitori, maestri, professori, amici o coloro che provavano a deviare la retta via si doveva dividere.

Le gambe erano pronte e allenate, la testa sulle spalle e si poteva benissimo saltare i fossi alla lunga.

Sentivo però sempre quel fiato sul collo, non capivo fosse lei a proteggermi o la mia coscienza in apprensione per le mie scelte.

Sempre ponderate, sin troppo forse…

Cosa restava degli insegnamenti di quella puttana, non avevo percepito proprio nulla o mi ero illuso d’averli capiti!

Col passare del tempo erano diventati sorrisi spenti; dove accidenti era sparita quella felicità così evidente prima! Forse quella puttana aveva costi troppo alti e non mi potevo permettere altri insegnamenti.

Forse pretendevo troppo da quella vita baldracca, in fin dei conti perché dovevo essere diverso dagli altri, le regola di vita di tutte le persone era ed è racchiusa in una parola: “Abitudine” Cazzo, io mi ero accorto tardi che quelle abitudini portavano al suicidio dell’anima.

I maestri stessi insegnavano a non abituarsi mai ai bei voti, ai pochi compiti e alle promozioni.

Dentro la loro anima in fondo albergava la conoscenza.

Per questo ora, chiunque accenni a quella parola fa scattare in me un istinto di protezione che non vuole essere ossessione ma pura consapevolezza di non voler mai più avere a che fare con quell’abitudine.

Forse si migliora con la consapevolezza…

Franco

Pubblicato da serenonotturno

Franco Pancaldi nasce e dimora nella provincia modenese dal 1962. Ricca di storia e nota per il saper vivere, ne assorbe i modi e cresce trasmettendo a coloro, che sono a lui vicino, il gusto di cogliere nella semplicità la bellezza insita in essa. Cultore della conoscenza del giusto, riesce attraverso un senso d'innata e spiccata attitudine, a svolgere mansioni manuali con estrema facilità. Lui stesso si definisce “un’anima libera” e continua a esserlo nelle sue diverse espressioni quotidiane di vita, allontanando e fuggendo quell’ombra che solo l’abitudine può dare. Sempre pronto a intraprendere nuove sfide si realizza attraverso un crescente bisogno di crescita personale. Il suo leitmotiv: “Conosco i miei limiti ma non me li pongo”.