La conta
Si era piccoli, innocenti e complici, in poche parole si era bambini giù in quel cortile fatto di ghiaia asfalto e garage che ben delimitavano le porte da calcio.
C’erano le case in costruzione e cumuli di terra su cui si giocava e si costruivano piccole gallerie o semplici oggetti con la terra argillosa.
Non lontano c’era il condominio delle poste dove nei sotterranei c’era il parcheggio dei residenti.
Quello lì sotto era teatro per qualsiasi cosa venisse in mente di giocare. C’era il mostro dei sotterranei, a cui tutti credevano, quel simpatico vecchietto che appoggiava l’auto in parcheggio e a fatica percorreva al buio quei sotterranei per andare in casa. Lui stava al gioco e ogni volta ci faceva prendere paura nascondendosi dietro la colonna.
Noi a gridare anche se lo sapevamo.
Capitava di nascondersi con la ragazzina per scambiare baci innocenti che ora i piccoli nemmeno sanno il valore di quel gesto.
Si giocava a nascondino tra il buio dei garage e l’impalcatura della casa in costruzione.
Ci si perdeva tutto il santo pomeriggio a rincorrerci dietro e cercare chi si era nascosto; Uno, due, dieci, cento, di solito così era la conta e via a cercare in tutte le direzioni finché lo trovavi, lo prendevi toccandolo e ad alta voce dicevi: “Ora che ti ho trovato non mi scappi”
Ora le parole sono diverse, i tempi cambiati ma il significato lo stesso, c’è sempre qualcuno che cerca qualcun’altro, magari “solo per giocare” Allora io alzo le mani e dico “mortis” che ai miei tempi significava essere immuni da tutto. Quello era l’unico modo per salvarsi.
Franco