Li ricordo tutti i profumi quando sin da piccolo mi affogavano deliziosamente le narici. Mi resta impresso quello del caffè nella “cucina economica” così si chiamava quella che funzionava mettendo dentro “le pinze” cioè vere mattonelle di scarto dell’uva pressato e con l’alcol sprigionato si scaldava la cucina piena di profumi. In quegli inverni freddi dentro al letto c’era il prete. Non era trasgressione, quello serviva a scaldare le lenzuola, nelle stanze di campagna. Ricordo, ricordo tutto e vorrei scordare tutto, ma fa parte di me. Tutto fa parte di me, gli sguardi, i gelati nelle sere estive nel cortile di campagna tra zanzare e lucciole, quelle che rischiaravano al loro passaggio. Sono passato di là dopo anni e tutto sembrava diverso, tutto più piccolo e abbandonato, così come si abbandonano gli affetti di chi pian piano se ne è andato.
Dove sono quei rumori, quei profumi… lasciati così allo scorrere del tempo. Io c’ero e loro pure e mi hanno cambiato.
Franco