L’inedito di una vita


Erano ragazzi giovani, quelli scapigliati, alla moda, quelli degli anni difficili dell’80, dove sentivano a pelle insidie, turbamenti, lotte tra brigatisti e stato, malattie che prendevano il nome terribile di Aids.
Facendo un sunto, un vero periodo con gli occhi aperti e il cuore in mano.
Uscivano in macchina giravano, cazzeggiavano, bevevano e non poco (il Martini da allora l’avevano bandito, perché mai come quella sera,  aveva reso la macchina un bar, con profumi e vomito, di tutti,  le canne giravano come non ci fosse un domani)
Tutto lì, si fermavano a quello.
Era quella una sera d’inverno, quella di pianura, con le nebbie di allora e l’umido che ti abbracciava come fosse una coperta.
Poca gente in giro, sventurati ladri e puttane alle tre di notte.
Nella strada del ritorno scherzavano con la musica funky a palla, allora si girava in centro città con la macchina, come sorta di discoteca.
Non passò inosservata una scena, che uno si porta dietro per la vita.
La strada fuori dal centro deserta, i viali illuminati, con la nebbia li rendeva simili a lumini del cimitero.
A sedere con le ginocchia raccolte, nel marciapiede sotto un albero, quasi a ripararsi una ragazza che a occhio e croce avrà avuto sedici anni. Facile intuire cosa facesse lì, non si posero questione e tirarono giù il finestrino dell’auto.
Sapevano di avere a che fare con una ragazza di strada, non si guardarono intorno,  semplicemente si fermarono e scesero.
Era una ragazza in lacrime, disperata, come chi sa di essere li e non sa il perché, forse necessità per uno spinello pensarono.
Gli si misero intorno quasi a sorta di protezione da occhi indiscreti, le parlarono e la sua disperazione traspariva dallo sguardo, sembrava una trattativa, che si concludette con una resa.
Si fidò dei ragazzi (chissà quante altre volte si era fidata di uno sconosciuto)
La fecero salire tremante e dalle sue labbra uscì solo un grido d’aiuto, forse perché li al chiuso si sentiva al sicuro.
Un indirizzo di casa dei genitori a 15 km e un grazie con lo sguardo.
La portarono all’indirizzo, la casa aveva una luce accesa, forse aspettavano il suo ritorno o forse i genitori non sapevano nulla di dove fosse.
Si sincerarono entrasse in casa, non un nome non una domanda, solo la gioia che accompagnava a casa quei ragazzi, in quel mondo fatto di menefreghismo. Non seppero mai se quella ragazza da quel giorno cambiò,  o se ritornò sotto quel marciapiede, loro avevano fatto una cosa che li avrebbe resi fieri per tutta la vita.

Questo il nostro mondo e le nostre storie di allora, le violenze si curano con la reazione pacata.
Sereno Notturno

Pubblicato da serenonotturno

Franco Pancaldi nasce e dimora nella provincia modenese dal 1962. Ricca di storia e nota per il saper vivere, ne assorbe i modi e cresce trasmettendo a coloro, che sono a lui vicino, il gusto di cogliere nella semplicità la bellezza insita in essa. Cultore della conoscenza del giusto, riesce attraverso un senso d'innata e spiccata attitudine, a svolgere mansioni manuali con estrema facilità. Lui stesso si definisce “un’anima libera” e continua a esserlo nelle sue diverse espressioni quotidiane di vita, allontanando e fuggendo quell’ombra che solo l’abitudine può dare. Sempre pronto a intraprendere nuove sfide si realizza attraverso un crescente bisogno di crescita personale. Il suo leitmotiv: “Conosco i miei limiti ma non me li pongo”.