L’ombra della pietra


Ormai era diventata la mia prima casa, un’unica stanza, con le pareti bianche, nessun accenno di mobilia, un letto scomodo, freddo e senza uno straccio di cuscino. Oltre a quella stanza una reception, dove ogni volta mi recavo, venivo accolto dall’unica persona che prendeva appuntamenti, un’anziana signora ricurva, che nulla faceva sentire per farti a tuo agio. L’appuntamento era alle nove del mattino, ero in leggero anticipo, quindi mi disse d’aspettare in piedi. Stranamente il tempo volò e mi ritrovai a sedere in quello scomodissimo letto di pietra. Questo simboleggiava la sofferenza.
“Allora dopo l’ennesimo incontro, cosa ha capito dalla relazione con se stesso e gli altri!”
In verità risposi che la mia autostima andava da un eccesso all’altro, forse in relazione al trascorrere dei miei anni dell’infanzia, mescolavo attimi di euforia con altri d’abbandono.
“Troppo poco per fare un’analisi accurata”
Fu quella la sua risposta. Il tempo è volato come l’aria in autunno, le tinte forti hanno lasciato lo spazio alle foglie che d’inverno cadono. Ho perso il mio tempo a correre dietro alla nebbia, per trovarmi poi nei campi grigi.
“Così facendo non aiuta se stesso e nemmeno il suo portafoglio. Capisca e assapori i profumi, anche quelli che apparentemente non le dicono nulla. Ascolti il ​​frastuono che c’è nel suo silenzio. In poche parole ricominci a respirare, si imponga un cambio di rotta e cancelli le sue fisse sul voler fare alla perfezione ogni cosa. Lo scordi, ogni tanto lasci andare tutto per la propria strada!”
Diceva bene lasciarsi andare, eppure io non ero lì per caso, una ragione doveva pur esserci. Stavo sempre più comodo in quel letto freddo. Continuava a essere la mia punizione. Dentro di me percepii non dover essere così per sempre, altrimenti in quel letto mai avrei capito la differenza tra pietra e corpo.
Ebbi un sobbalzo e mi svegliai, ero in un altro luogo dove tutto era più comodo, ero a sedere in una poltrona, intorno nessuno. In quel momento bussarono alla porta. Entri pure dissi.
“Buongiorno, si ricorda di me?”
Mi faccia capire, come mai lei è qui nello stesso posto mio, ma io già ero nella stanza. “Lei forse ha superato il freddo dei suoi pensieri, io non il mio voler essere e mi ritrovo al suo posto. Disposto a darmi aiuto?” Ecco in quel preciso istante capii che imporsi e lasciarsi andare, aiuta a sentire i
sapori gli odori e i colori. Cosa non semplice, ma doverosa, forse difficile da mettere in pratica, ma rimaneva l’unica soluzione.
In quel preciso istante suona la sveglia, quella di un nuovo giorno.
Sereno Notturno

Pubblicato da serenonotturno

Franco Pancaldi nasce e dimora nella provincia modenese dal 1962. Ricca di storia e nota per il saper vivere, ne assorbe i modi e cresce trasmettendo a coloro, che sono a lui vicino, il gusto di cogliere nella semplicità la bellezza insita in essa. Cultore della conoscenza del giusto, riesce attraverso un senso d'innata e spiccata attitudine, a svolgere mansioni manuali con estrema facilità. Lui stesso si definisce “un’anima libera” e continua a esserlo nelle sue diverse espressioni quotidiane di vita, allontanando e fuggendo quell’ombra che solo l’abitudine può dare. Sempre pronto a intraprendere nuove sfide si realizza attraverso un crescente bisogno di crescita personale. Il suo leitmotiv: “Conosco i miei limiti ma non me li pongo”.